Nel panorama editoriale nostrano la Cambogia non ha un posto di rilievo, giusto qualche guida turistica e dei racconti di viaggio fai da te, nonostante la Storia e la cultura cambogiane meriterebbero più attenzione.
Per fortuna ci sono delle case editrici come O barra O edizioni che tentano di colmare questa lacuna, proponendosi di diventare un ponte proprio tra Occidente e Oriente. Tra le pubblicazioni dedicate alla Cambogia troviamo un romando molto interessante: L’anarchico, scritto da Soth Polin che, come riporta la quarta di copertina, è uno dei pochissimi scrittori cambogiani sopravvissuti al periodo dei khmer rossi.
Il romanzo e il suo contesto
Il rapporto con la Cambogia dei khmer rossi è l’elemento centrale del romanzo, anche se potremmo dire della vita stessa dell’autore. L’opera non è autobiografica ma il protagonista è chiaramente lo stesso Soth Polin professore di filosofia a Phnom Penh prima e taxista a Parigi poi. Prima e poi sono due termini imprescindibili per capire il romanzo, diviso in due parti scritte in momento storici diversi, prima e poi. Ma prima e poi rispetto a cosa? Facile: La Kampuchea democratica guidata da Pol Pot, difficile: una frattura esistenziale nella vita dell’autore, emigrato in Francia prima dell’arrivo al potere da parte dei khmer rossi.
Nella sua prima vita Polin è professore di filosofia, autore di racconti filosofici che tentano di coniugare Freud e Nietzche con l’impermanenza del pensiero buddhista. Inoltre è giornalista ed editore attivo politicamente, schierato con la Repubblica di Lon Nol che si contrapponeva ai khmer rossi ed a Norodom Sihanouk, in quel momento loro alleato. Nella seconda invece è un emigrato cambogiano in Francia, autista di taxi e portatore di molte ferite aperte con il proprio passato. Il primo racconto è infatti intriso di vitalismo decadentista, il secondo invece è molto più cupo e i sensi di colpa si mescolano ai traumi dell’emigrazione.
L’anarchico è estremamente interessante sia per la rievocazione della Cambogia degli anni della guerra civile, sia perché mostra esattamente quello contro cui combattevano i khmer rossi, ossia una cultura cambogiana che prendeva in prestito dall’Occidente ragionamenti ed atteggiamenti incomprensibili alla gran parte della popolazione contadina del paese. Quello dei khmer rossi è un fenomeno dove il tabù morale impedisce di andare a fondo per capirne le ragioni e questo libro è, forse nonostante le intenzioni dell’autore, un prezioso strumento per capire dove abbia avuto origine la tragedia del popolo cambogiano.
Il significato del libro di Soth Polin
Leggere Soth Polin, nel suo decadentismo di stampo francese ammantato di sesso e superomismo, pensando poi ai contadini delle campagne cambogiane ed alle minoranze etniche delle foreste del paese fa capire come tra le parti in lotta non ci potesse che essere incomunicabilità. Diversamente è impossibile comprendere perché i khmer rossi svuotarono le città, a partire da Phnom Penh, per tornare ad una cultura agraria, secondo loro popolare ed autentica. Impossibile anche capire l’odio e la diffidenza verso chiunque avesse studiato, facendo diventare una colpa da punire anche il semplice fatto di portare un paio di occhiali.
Soth Polin questo lo sa e, tramite il protagonista della seconda parte del romanzo, sembra sviscerare i propri sensi di colpa per avere causato indirettamente l’odio dei khmer rossi verso il suo stesso popolo, anche se i khmer rossi direbbero verso una classe.
L’autore poi, sempre tramite il suo protagonista, fa emergere il disprezzo per la politica internazionale che, bisogna ricordarlo, sostenne proprio i khmer rossi in chiave anti vietnamita ma più propriamente anti sovietica. Ed infine c’è disprezzo anche per gli intellettuali occidentali, che vedevano i khmer rossi attraverso il filtro dei loro ideali, facendone però pagare il prezzo ad altri.
Qualche pensiero finale sul libro di Soth Polin
In conclusione L’anarchico, a mio avviso titolo dato dall’autore per una sorta di rivendicazione morale, vale davvero la pena di essere letto, almeno per capire cosa abbia significato vivere il trauma della Cambogia di Pol Pot.
Il punto di vista di Polin è poi particolare, non parliamo infatti del classico libro di sopravvissuti all’orrore del regime ma del libro di qualcuno che sopravvissuto forse non è, troppo forte il peso delle conseguenze delle sue azioni. Un libro in cui i sentimenti emergono dal profondo pagina dopo pagina, proprio come i templi di Angkor sono emersi dalla foresta cambogiana dopo secoli di silenzio ed oblio.
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