A molti di coloro che hanno visitato la Cambogia, sarà sicuramente capitato di entrare in un delizioso ristorantino verso l’ora di cena e trovare inservienti e clienti con lo sguardo rivolto verso un televisore, solitamente di piccole dimensioni e tendente al bianco e nero. Nello schermo qualcosa che a prima vista sembra un incontro di Kick Boxing, in realtà uno dei più antichi simboli della Cambogia: il bokator, un’arte marziale molto antica che sempre più viene oggi riscoperta e riproposta. A Siem Reap ogni sera un locale proprio nei pressi della turistica Pub Street, offre una serie di incontri dal vivo visibili anche dalla strada.
L’origine del bokator
Chiamato anche labokkatao o kun l’bokator, si perde nella leggenda e significherebbe letteralmente “prendere a pugni un leone”. In ogni caso, molti studiosi lo fanno risalire all’epoca dell’Impero Khmer, dove sarebbe stato praticato dalle truppe. Secondo altri ricercatori la disciplina praticata dai soldati sarebbe stata lo yuthakun khom, mentre il botakor era più diffuso tra la gente comune. In ogni caso oggi i combattenti di botakor, che in realtà ne usano la versione sportiva detta paradal serey, indossano delle corde attorno alla testa ed ai bicipiti, come avveniva nell’Impero Khmer.
I praticanti questo sport hanno anche dei krama (le tipiche sciarpe cambogiane) i cui diversi colori ne indicano il grado. Questi vanno dal bianco al nero sino al color oro riservato a chi abbia fatto grandi imprese in questa disciplina. Nonostante sia spesso confuso con la muay thay, il bokator ha una modalità di combattimento meno aggressiva e più elusiva. Si arriva al punto che i combattenti sembrano spesso danzare sul ring, colpendo con forza e velocità per poi ritrarsi subito dopo. Le tecniche del bokator, nella versione non armata, sono decine di migliaia, per arrivare al krama nero bisogna impararne circa un migliaio.
La riscoperta di questa disciplina sportiva
Il bokator rimanda alle origini indiane della cultura khmer, inserendosi in un processo più generale di riscoperta del passato della Cambogia. Durante il regime dei khmer rossi i praticanti questa disciplina furono sterminati. Una volta liberata la Cambogia, anche dalla “reggenza” vietnamita sotto la quale il bokator era proibito, si credette che l’unico maestro rimasto in vita fosse San Kim Sean. In realtà poi si trovarono altri maestri, seppur molto anziani, disposti a ridare vita al bokator. Nel settembre 2006 si tenne a Phnom Penh la prima competizione nazionale.
Ora l’obiettivo delle autorità cambogiane è quello di far diventare il bokator un patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’UNESCO, impresa tentata ma non riuscita nel 2012. Il bokator si affiancherebbe quindi al Balletto Reale, allo sbek thom (una sorta di teatro delle ombre) ed al teanh prot (un tiro alla fune rituale legato al ciclo dei raccolti), già ammessi nella lista dell’UNESCO. Dopo un primo seminario ufficiale tenuto a gennaio, la presentazione della domanda aveva come scadenza il 31 marzo, adesso la Cambogia dovrà attendere una risposta per la quale ci potranno volere sino a due anni.
La diffusione del bokator
Le attività governative per la protezione di questa arte marziale non si fermano tuttavia qui, l’obiettivo è anche quello di far diventare il bokator pratica comune nell’esercito e nelle scuole, anche tramite una versione semplificata destinata agli studenti. Questa arte marziale tra le più antiche del mondo ha già ricevuto riconoscimenti internazionali. Per esempio vincendo il primo premio all’ Hong Bang International Martial Arts Festival di Vietnam, dove erano in lizza ben 25 discipline. Inoltre la Cambogia vorrebbe far inserire il bokator tra gli sport che assegnano medaglie nell’edizione del 2023 dei giochi del sudest asiatico.
Quando sarete nel complesso dei templi di Angkor, visitando il celebre Bayon guardate i bassorilievi nella parte inferiore delle colonne d’ingresso al tempio, riconoscerete delle figurine che vi saranno familiari: sono dei combattenti di bokator!